mercoledì 22 luglio 2009

Benedetto XVI e i palloncini gonfiati. Intervista al prof. Edward C. Green (Rodolfo Casadei)


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Su segnalazione della nostra Alessia leggiamo:

Benedetto XVI e i palloncini gonfiati

L’hanno deriso ma il Papa aveva ragione, non è il condom il rimedio all’Aids in Africa. Lo spiega Edward Green, laico professore di Harvard.

di Rodolfo Casadei

Nessuno è più al di sopra del sospetto di essere un papista o una quinta colonna dei papisti di Edward C. Green, antropologo della medicina dell’ultrailluminista Università di Harvard. Un accademico più a suo agio con le ricerche e i progetti sul terreno che con quelli dietro alle cattedre e nelle biblioteche. Per 35 anni ha progettato, attuato e valutato programmi di social marketing in 34 paesi del mondo, 17 dei quali africani dell’Africa sub-sahariana, che non avevano per oggetto la distribuzione di Bibbie e rosari, ma di anticoncezionali di tutti i tipi. Inoltre le sue specialità erano e sono, oltre ai programmi per la prevenzione dell’Aids, la valorizzazione delle medicine e dei sistemi sanitari tradizionali, i bambini vittime di conflitti, la salute delle minoranze etniche negli Usa, la salute in rapporto ai problemi ambientali, la conservazione della biodiversità. Insomma, più liberal di così si muore. Ebbene un soggetto siffatto, interpellato sulla nota dichiarazione di Benedetto XVI su Aids e profilattico rilasciata durante il volo verso il Camerun nel marzo scorso che scatenò reazioni da fine del mondo, serenamente risponde: «Con riferimento all’Africa, il Papa ha perfettamente ragione».
E dice così non certo per fare la figura del bastian contrario e guadagnarsi un quarto d’ora di celebrità: la serietà di Green è riconosciuta da tutti i suoi colleghi, è autore di cinque libri e di 350 articoli, capitoli di libro, relazioni a conferenze e report tecnici tutti peer-reviewed, cioè selezionati e approvati per la pubblicazione da altri accademici e specialisti riconosciuti. L’antropologo della medicina americano spiegherà per la prima volta le sue posizioni ad un pubblico italiano non specialistico il 25 agosto prossimo a Rimini, in una tavola rotonda intitolata “Aids, un problema culturale”.

Professor Green durante la sua ultima visita in Africa papa Benedetto XVI ha detto, rispondendo a una domanda dei giornalisti, «il problema dell’Aids non si risolve con la distribuzione dei preservativi, che anzi peggiorano il problema». In un suo editoriale di commento The Lancet, una delle riviste mediche più famose del mondo, ha replicato che queste parole erano «gravissime e imprudentemente inesatte». Sulla base della sua esperienza, lei cosa dice: il Pontefice ha torto o ragione?

Come ho detto sul Washington Post e altrove, il Papa ha fondamentalmente ragione per quel che riguarda l’Africa. Il discorso è molto chiaro se limitiamo la discussione all’Africa, che era la destinazione dove il Papa si stava recando e il luogo di cui stava parlando nella sua risposta. I fatti sono questi: non c’è nessuna prova che i condom abbiano funzionato come intervento di sanità pubblica mirato a ridurre l’incidenza delle infezioni da Hiv a livello della popolazione generale. Questo è un po’ difficile da accettare, ma posso spiegarlo. Se noi prendiamo un individuo isolato, avrebbe senso dire che utilizzando il condom ogni volta che ha un rapporto, o almeno quanto più spesso gli è possibile, egli riduce le probabilità di contagiarsi con l’Aids. Ma noi stiamo parlando di programmi, di grandi interventi che riescono o falliscono a livello di interi paesi, ovvero, come diciamo noi che lavoriamo nell’ambito della salute pubblica, a livello di popolazione. Importanti articoli pubblicati su Science, The Lancet, British Medical Journal e persino su Studies in Family Planning hanno comunicato questa scoperta sin dal 2004. Io ho scritto per la prima volta per sostenere che l’enfasi sulla fedeltà di coppia è più efficace dell’enfasi sull’uso del profilattico nella prevenzione dell’Aids nel libro Aids in Africa, che è apparso nel 1988. I condom falliscono perché le persone non li usano correttamente, perché cessano di essere usati quando si è convinti di conoscere bene l’altra persona, e perché generano un senso di falsa sicurezza, per cui le persone attuano comportamenti più rischiosi, che non avrebbero osato se non avessero avuto a disposizione i condom. Inoltre i condom distraggono risorse da interventi che avrebbero funzionato di più, come la promozione della fedeltà di coppia.

Nei suoi libri e articoli lei sottolinea che contro l’Aids in Africa funziona bene il metodo Abc, cioè “Abstinence, Be faithful, Condom”. A prima vista sembrerebbe impossibile, considerato che astinenza, fedeltà di coppia e condom sono tre elementi che si escludono a vicenda. Oppure c’è un giusto dosaggio delle tre cose nell’approccio?

L’astinenza e la fedeltà sono diversi dall’uso del condom. Evitano completamente il rischio dell’infezione, purché la fedeltà sia reciproca, ovviamente. Questo approccio è noto anche come “annullamento del rischio”. L’uso del condom introduce l’elemento del rischio: esso non è una forma di annullamento del rischio ma di riduzione del medesimo. L’uso corretto del condom è protettivo solo all’80-85 per cento quando viene attuato correttamente, anche se nelle condizioni della vita reale, che sono quelle in cui vive la maggior parte di noi, l’uso del condom è molto meno protettivo di quanto sopra detto. In realtà noi sapevamo che i condom non erano molto efficaci per la prevenzione dell’infezione da Hiv sulla base della nostra esperienza nel campo del family planning, prima dell’avvento dell’Aids. Parte del genio dell’originale programma Abc dell’Uganda sta nel fatto che si fa carico della cause immediate dell’infezione da Hiv, concentrandosi sull’annullamento del rischio di contagio, sulla riduzione di tale rischio e sulla diminuzione dell’efficienza dell’infezione. Esso separa questi elementi basilari da tutte le altre cose che potrebbero essere coinvolte nel contagio, come la povertà, la disuguaglianza fra i sessi, i diritti umani, l’emarginazione, ecc., ma che potrebbero anche non c’entrare.

Quali sono le cose più importanti intorno all’Aids e all’Africa che il mondo esterno, e specialmente i giornalisti, sembranon non capire?

Che non possiamo avere un’assoluta libertà sessuale e un’efficace prevenzione nello stesso tempo; che l’Africa è diversa dal resto del mondo (perché effettivamente i condom funzionano piuttosto bene in altri tipi di epidemie in altre parti del mondo); e che i comportamenti sessuali devono cambiare in modo fondamentale se si vuole che i tassi di infezione da Hiv declinino. Con l’eccezione, naturalmente, di quando c’è un effetto curva dell’epidemia, allorché i tassi di infezione si abbassano temporaneamente perché coloro che più si trovavano esposti all’infezione sono deceduti più rapidamente di quanto nuove coorti sono entrate nella fase sessualmente attiva della loro vita.

Perché, secondo lei, governi e istituzioni internazionali hanno reagito così duramente alle parole del Papa? Credono veramente che il condom è lo strumento numero uno per la prevenzione dell’Aids o sono influenzati da interessi costituiti, che noi sospettiamo ma non riusciamo a individuare?

Hanno reagito in quel modo per una serie di ragioni, a cominciare dalla profonda convinzione che i condom funzionino molto meglio di quanto non avviene in realtà. Non possiamo incolpare i giornalisti di non conoscere la realtà, quando i principali esperti continuano a dire che i condom sono l’arma numero uno che abbiamo contro l’Aids. Certamente le persone, inclusi gli scienziati, sono influenzati da interessi costituiti: la maggior parte dei fondi Usa per la prevenzione dell’Aids passa attraverso organizzazioni che si occupano di salute riproduttiva e family planning. Un fattore spesso trascurato è l’ideologia della liberazione sessuale. Quelli di noi che lavorano nell’ambito dell’Aids non comprendono quanto i valori e l’ideologia della liberazione sessuale influenzino il nostro pensiero. E questo spiega perché, fino a poco tempo fa, le organizzazioni di origine religiosa erano in gran parte escluse dai programmi per la prevenzione dell’Aids anche se esse gestiscono molti ospedali, cliniche e scuole in Africa. Spiega anche le forti reazioni emotive che vediamo quando viene messo in discussione l’establishment dell’Aids.

Qual è la migliore “best practise” che ha visto in Africa? E qual è il peggiore intervento ufficiale che ricorda?

Cito sempre il programma Abc dell’Uganda come il modello che tutti noi dovremmo seguire. Questo modello s’è visto all’opera soprattutto nel periodo fra il 1986 e i primi anni Novanta, allorché i donatori internazionali cominciarono a modificare il programma ugandese al punto che oggi assomiglia a quello di qualsiasi altro paese africano. Il programma Abc enfatizzava più di tutto la fedeltà di coppia. Promuoveva l’astinenza principalmente per i giovanissimi non ancora sessualmente attivi. Era molto prudente e smorzato nel promuovere i condom. A partire dalla metà degli anni Novanta i caratteri distintivi di questo programma sono andati perduti e i condom, insieme ai test e agli antiretrovirali, sono diventati di gran lunga gli elementi più importanti. In anni recenti la sieroprevalenza ha ricominciato a salire. Per quanto riguarda il programma peggiore, non c’è da guardare molto lontano. Tutti i programmi sono pesantemente centrati sul condom, e i condoms sono chiaramente efficaci solo in alcuni tipi di epidemia. E anche in paesi come Thailandia e Cambogia non è chiaro quanto contribuiscano i condom e quanto siano più fondamentali altri tipi di cambiamento di comportamento, come il non andare a prostitute e non avere relazioni extraconiugali.

Al fine di evitare l’Aids, è cosa più pratica e fattibile insegnare agli africani l’“uso corretto” del condom o il cambiamento primario del comportamento sessuale?

Il cambiamento primario del comportamento. Possiamo insegnare l’uso corretto del condom, ma sappiamo che poche persone lo metteranno in pratica.

Quanti sono a tutt’oggi i paesi del Terzo mondo che sono riusciti a ridurre i loro tassi di sieroprevalenza? Come ci sono riusciti?

Oggi notiamo un declino della sieroprevalenza in 8-9 paesi africani. In ciascun caso prima abbiamo registrato una diminuzione del numero di uomini e donne che dichiarano di aver avuto più di un partner nell’anno precedente. Ma è difficile attribuire questo cambiamento ai programmi nazionali contro l’Aids. La maggior parte dei programmi nazionali si occupano del cambiamento di comportamento solo per quanto riguarda l’adozione del condom. Credo che oggi assistiamo a questo cambiamento di comportamenti più o meno spontaneo perché la gente ha cominciato a vedere cosa funziona e cosa no. È anche possibile che le organizzazioni religiose abbiano aiutato al cambiamento di comportamento, a dispetto dei programmi nazionali che non ne tengono conto.

Nel suo libro Rethinking Aids prevention lei ha scritto: «Qualunque sia il tasso di fallimento dei condom per quanto riguarda la contraccezione, dovrebbe essere più alto per quanto riguarda l’Aids» (p. 97). Roba da far venire i brividi. Quanto è il tasso di fallimento dei profilattici come contraccettivi?

Hanno un tasso di successo del 75-80 per cento. Dunque, probabilmente, i due tassi sono paragonabili. Nel libro mi riferivo al fatto che il concepimento è possibile soltanto in alcuni giorni del ciclo della donna, mentre le infezioni da Hiv possono avvenire ad ogni rapporto.

Alcune statistiche indicano che i paesi africani dove il condom è più disponibile sono gli stessi dove l’incidenza dell’Aids è più alta. Significa che la distribuzione di condom ha peggiorato la situazione, come diceva il Papa?

È difficile dare una risposta. Abbiamo studi che mostrano che l’uso scorretto del condom – che coincide con l’uso tipico – è peggio del mancato uso. Ed esiste uno studio condotto in Uganda che mostra che l’intensa promozione del condom porta ad un aumento dei comportamenti a rischio.

Cosa i pensano i suoi colleghi di Harvard delle sue posizioni? Subisce boicottaggi? Ha perso amici e possibilità di fare carriera?

Non godo di grande sostegno. Il nostro programma sta per lasciare Harvard.

Sì, sappiamo che il suo Hiv Prevention Research Project ad Harvard sta finendo e non sarà rinnovato. Ciò accade a causa delle sue idee politicamente scorrette? Che cosa farà ora?

Preferisco non rispondere. È meglio che chieda a qualcuno di Harvard cosa pensano. Sto scrivendo due libri sull’Aids, e uno di essi s’intitola Aids and Ideology.

Professor Green, lei è cattolico, o comunque cristiano?

No. Credo in Dio a modo mio ma non appartengo a nessuna chiesa o gruppo religioso.

© Copyright Tempi, 21 luglio 2009

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