giovedì 16 luglio 2009

Caritas in veritate, Mons. Crepaldi: Il Papa sa dove andare (Tempi)


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Il Papa sa dove andare

Con la Caritas in veritate la Chiesa si riprende il suo spazio tra i costruttori della città. E ricorda che la sua parola non è un’altra opinione, ma pretende di essere la risposta alle attese di tutti

di Giampaolo Crepaldi

La Caritas in veritate è destinata a parlarci a lungo e a lungo noi dovremo parlare di essa.
Dopo circa venti anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la Chiesa riprende ancora in mano il bandolo della matassa della costruzione del mondo e trasforma la questione sociale nientemeno che nella questione dello «sviluppo umano integrale nella carità e nella verità». Così facendo la Dottrina sociale della Chiesa viene collocata laddove Chiesa e mondo si incontrano. Il paragrafo 34 dell’enciclica dice con chiarezza che dopo il peccato originale il mondo non sa costruirsi da solo. La Dottrina sociale, come diceva Giovanni Paolo II, è strumento di salvezza perché è annuncio di Cristo nelle realtà temporali. La Caritas in veritate ribadisce la “pretesa” cristiana: senza di Cristo non si può fare nulla.
Senza la forza della carità e la luce della verità cristiane l’uomo non è capace di tenersi insieme, perde i propri pezzi, si contraddice, si scompone e si decompone. La pretesa cristiana è che solo Gesù Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo e gli permette di “tenersi”, come un tutto. Una lettura della Caritas in veritate da questo punto di vista sarebbe molto interessante. Destra e sinistra, conservazione e progressismo, capitalismo e anticapitalismo, natura e cultura… queste e altre separazioni e riduzioni vengono completamente sorvolate: la realtà è più di esse e la realtà è data dalla carità e dalla verità. Si pensi alla più frequente delle scomposizioni ideologiche: la separazione dei temi della vita e della famiglia da quelli della giustizia sociale e della pace. Separazione evidentissima, per esempio, nel riduzionismo ecologista o nello sviluppo dei popoli poveri collegato con l’aborto o la pianificazione riproduttiva forzata. L’enciclica dice che tutto ciò va “tenuto insieme”. Si pensi alla frequente interpretazione dello sviluppo solo in termini quantitativi, a fronte di altre cause – qualitative – sia del sottosviluppo che del supersviluppo. L’ideologia della tecnica è il nuovo assolutismo (si veda il capitolo VI) perché separa: se tutti i problemi della persona umana si riducono a problemi psicologici risolvibili da tecnici “esperti” si finisce per non sapere nemmeno più cosa si intenda per sviluppo. L’uomo è unità di corpo e anima. La Caritas in veritate riconsegna allo spirito e alla vita eterna il loro posto nella costruzione della città terrena.

L’eliminazione della possibilità del dono

La pretesa cristiana è di riuscire a tenere insieme il tutto. Ma è anche quella di rispondere ad un bisogno, meglio: ad una attesa. Anche questo secondo aspetto della pretesa cristiana c’è tutto nella Caritas in veritate. Senza negare i diversi livelli di verità e di competenza, e quindi senza negare anche i propri limiti, la Chiesa sa di annunciare la Parola definitiva e che questa Parola non si aggiunge dall’esterno come un’opinione, ma pretende di essere la risposta alle attese umane. Dio ha così il suo posto nel mondo e la Chiesa un suo “diritto di cittadinanza”. Che Dio abbia un posto nel mondo richiede che il mondo ne abbia bisogno anche per essere mondo, ossia per conseguire i suoi fini naturali, viceversa Dio è superfluo. Utile, magari, ma non indispensabile. Se Dio è solo utile allora il cristianesimo è solo etica. Se, invece, Dio è indispensabile allora la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia. Purifica significa che le rende effettivamente ragione ed effettivamente giustizia. Come dire che senza la fede la ragione non riesce ad essere ragione e senza la carità la giustizia non riesce ad essere giustizia.
Non si comprenderà a fondo la Caritas in veritate se ci si soffermerà solo sui singoli capitoli tematici, senza tenere in conto la visione generale. Il tema vero dell’enciclica è il posto di Dio nel mondo. Per questo la Caritas in veritate è anche un bilancio politico e sociale della modernità e dei danni al vero sviluppo provocati dalla incapacità di cogliere ciò che non sia prodotto da noi. Il paragrafo 34 è tra i più belli – e più importanti – dell’enciclica in quanto parla della «stupefacente esperienza del dono». La modernità, nella sua versione emergente, elimina la possibilità stessa di “ricevere” e di “accogliere” qualcosa di veramente nuovo e che “irrompe” nella nostra vita. Impedisce di cogliere la carità e l’amore che sono sempre quanto non si può prevedere e produrre. Toglie quindi a Dio il suo posto nel mondo, perché Dio è Carità e Amore. Toglie la possibilità di riconoscersi come “fratelli”, perché la vicinanza si può produrre – dice l’enciclica – ma la fraternità no. Qualcuno ha osservato che nell’enciclica si parla più di fraternità che di solidarietà. È vero. Non però per eliminare il termine solidarietà, ma per chiarirlo meglio alla luce della fede cristiana. La fraternità richiede un unico Padre e non può essere che un dono. La solidarietà corre il rischio del solidarismo e quindi della orizzontalità etica. Potremmo dire che la fraternità cristiana purifica la solidarietà umana.

Lo sviluppo non è appena una crescita

Che rapporto c’è tra la prospettiva del dono e quella della libertà e della responsabilità? La Caritas in veritate colloca il tema dello sviluppo in questo ultimo ambito, non quello dei meccanismi ma quello della responsabilità. Questa non nasce da quanto produciamo noi, ma dall’accoglienza di doveri indisponibili. Al contrario la libertà sarebbe arbitraria e la responsabilità irresponsabile. Si legga con attenzione il paragrafo 43 sui diritti e sui doveri. Lì la modernità è purificata, ossia liberata da se stessa per essere più autenticamente se stessa. Da una modernità irresponsabile a una modernità responsabile. Il sottosviluppo è prodotto. Ed è prodotto meno da carenza di risorse e più da carenza di pensiero e di cuore. Il pensiero e il cuore – se non ridotti ad opinione e a sentimento – ci mettono davanti a quanto ci interpella perché non prodotto da noi. Ci indicano il senso vero dello sviluppo da assumere liberamente e responsabilmente, senza affidarne la realizzazione solo a burocrazie o a meccanismi.
La grandezza della Caritas in veritate sta nel suo respiro. Senza Dio, si legge nella Conclusione, l’uomo non sa dove andare e non sa nemmeno chi egli sia. Senza Dio l’economia è solo economia, la natura è solo un deposito di materiale, la famiglia solo un contratto, la vita solo una produzione di laboratorio, l’amore solo chimica e lo sviluppo solo una crescita. L’uomo ondeggia tra natura e cultura, ora intendendosi solo come natura ora solo cultura, senza vedere che la cultura è la vocazione della natura, ossia il compimento non arbitrario di quanto essa già attendeva.

*arcivescovo-vescovo eletto di Trieste

© Copyright Tempi, 15 luglio 2009

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