giovedì 9 luglio 2009

"Caritas in veritate", Valli: Lo sviluppo integrale (Europa)


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Il Papa presenta l'enciclica "Caritas in veritate": "La carità nella verità è quindi la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. Per questo, attorno al principio "caritas in veritate", ruota l’intera dottrina sociale della Chiesa" (Catechesi)

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IL TESTO DEL MOTU PROPRIO "ECCLESIAE UNITATEM" A PROPOSITO DELLA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

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MOTU PROPRIO "ECCLESIAE UNITATEM" A PROPOSITO DELLA COMMISSIONE ECCLESIA DEI: LO SPECIALE DEL BLOG

IL TESTO INTEGRALE DELL'ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE"

ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": LO SPECIALE DEL BLOG

Lo sviluppo integrale

Aldo Maria Valli

Un’urgente riforma dell’Onu per governare la globalizzazione, una denuncia del precariato e dello sfruttamento, la riaffermazione che ogni migrante è persona in possesso di tutti i diritti.E ancora: la denuncia della finanza senza etica e dello scandalo della fame, un sì all’economia di mercato ma a patto che non diventi sinonimo di sopraffazione.
C’è questo e molto altro nella Caritas in veritate, la prima enciclica sociale di Benedetto XVI. A lungo atteso e rielaborato più volte negli ultimi mesi in seguito alla crisi economica mondiale, il documento è corposo (142 pagine) e caratterizzato da un linguaggio chiaro, verrebbe da dire puntiglioso.
Il papa non solo, com’è nel suo stile, non vuole lasciare zone d’ombra sul piano concettuale, ma vuole dare anche indicazioni operative per disegnare «uno sviluppo umano integrale» come dice il sottotitolo.
Le due parole al centro dell’enciclica, carità e verità, vanno spiegate.
Quando il papa parla di carità pensa all’amore cristiano, quello di un Dio che è egli stesso amore eterno e che per amore ha creato l’uomo e per amore ha mandato sulla terra suo figlio Gesù il redentore con il suo insegnamento di fratellanza. E proprio questa è la verità da tenere sempre presente, perché senza questa verità il cristianesimo, pur in presenza della carità, si riduce a «una riserva di buoni sentimenti» e perché, a giudizio del papa, se non si parte da questa verità sull’uomo si apre automaticamente la porta al male, all’ingiustizia, alla sofferenza individuale e alla disgregazione sociale.
Benedetto XVI recupera alla grande la Populorum progressio di Paolo VI (marzo 1967) e pur evidenziandone alcuni limiti dovuti allo scorrere del tempo la mette decisamente al centro della dottrina sociale della Chiesa a partire dall’affermazione che senza Dio lo sviluppo viene «disumanizzato». Se vogliamo costruire una società secondo libertà e giustizia, diceva papa Montini, il Vangelo è imprescindibile, e da qui riparte Ratzinger per sostenere che lo sviluppo è davvero umano quando riguarda ogni uomo e tutto l’uomo, in tutte le sue componenti, materiali e spirituali.
Perfezionata durante i mesi della crisi mondiale, l’enciclica sostiene che proprio lo tsunami planetario ha fatto capire quanto sia necessaria una vera «architettura economica e finanziaria» in grado di governare i fenomeni della globalizzazione.
«Urge la presenza di una vera autorità politica mondiale», scrive il papa motivandola con «l’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale» e specificando che una tale autorità «dovrà essere da tutti riconosciuta » e «godere di potere effettivo».
È stata la finanza senza morale e senza Dio a causare la crisi planetaria. Se si elimina il principio morale, l’economia diventa strumento distruttivo. La gestione delle imprese non può tenere conto soltanto degli interessi dei proprietari: occorre guardare alle necessità della comunità. I manager non rispondano solo alle indicazioni degli azionisti e non impieghino le risorse finanziarie in modo esclusivamente speculativo. L’obiettivo sia il bene comune.
L’enciclica ribadisce l’assenso della Chiesa cattolica all’economia di mercato, ma a condizione che non diventi motivo di sopraffazione del forte sul debole. Il mercato non ha legittimazione in se stesso ma in principi che riguardano la promozione umana. Trasparenza, onestà, responsabilità sono i principi sempre validi. L’intervento degli stati e della società civile è non solo possibile ma necessario. Profit e no profit non restino settori separati ma si cerchi di fonderli. Anche l’economia ha bisogno dell’idea del dono e della gratuità.
La grande povertà che continua a essere presente nel mondo ha, secondo Benedetto, cause ben identificabili: sono lo sfruttamento, la corruzione, la mancanza di garanzie sociali, la precarietà del lavoro, l’indebolimento dei sindacati. Benedetto, che dice no ai tagli alla spesa sociale, punta il dito contro l’abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori e invoca un lavoro «decente» precisando che esso è tale quando è scelto liberamente, quando consente di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, e quando permette ai lavoratori di essere rispettati, di associarsi, di far sentire la loro voce e di avere un futuro dignitoso una volta arrivati all’età della pensione.
La stessa concretezza si ritrova nelle pagine dedicate agli immigrati. La gestione dei flussi è complessa e necessita di collaborazione internazionale ma sempre partendo dal dato certo che ogni migrante è persona umana in possesso di diritti inalienabili e che i lavoratori stranieri non possono essere trattati come merce o mera forza lavoro.
Forte è l’appello alla difesa della vita, contro la «pianificazione eugenetica delle nascite» e il ricorso all’aborto per il controllo demografico. Troppo spesso gli aiuti allo sviluppo sono legati a politiche sanitarie che inducono al controllo delle nascite o all’eutanasia.
È scorretto considerare l’aumento della popolazione la prima causa del sottosviluppo.
L’apertura responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. I paesi più poveri hanno bisogno di serie riforme, specie in agricoltura. «La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto da scarsità di risorse sociali». Gli organismi impegnati nella cooperazione allo sviluppo dovrebbero interrogarsi «sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi».
La crisi economica obbliga tutti a «riprogettare il cammino». La ricchezza mondiale cresce in termini assoluti eppure aumentano le disparità: vuol dire che il problema sta nel governo dell’economia, e il governo è questione morale prima che tecnica.

© Copyright Europa, 8 luglio 2009 consultabile online anche qui.

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