mercoledì 8 luglio 2009

Enciclica, un nuovo progetto di sviluppo globale (Osservatore Romano)


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ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": LO SPECIALE DEL BLOG

Un nuovo progetto di sviluppo globale

di Francesco M. Valiante

Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato: nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede.
Già le premesse sgombrano il campo da equivoci e confusioni di ruolo. La Chiesa non ha in tasca "soluzioni tecniche" ai drammatici problemi della crisi mondiale né "pretende minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati".
Tuttavia non rinuncia alla sua "missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione". Nasce da qui la sua dottrina sociale, che è appunto caritas in veritate in re sociali, "annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società".
Solo nella verità - "da qualsiasi sapere provenga" precisa il documento richiamando la necessità del dialogo tra fede e ragione - la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" ed "elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane". Senza di essa, invece, rischia di scivolare nel sentimentalismo o finire preda di manipolazioni che ne stravolgono il significato, trasformandola nel suo esatto contrario. La verità, si legge nell'enciclica, "esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia". Forza che trova il suo sbocco naturale nella giustizia - "chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro" ricorda il Papa - e nel bene comune, che della carità rappresenta "la via istituzionale" e "politica".
Su questa base concettuale - in continuità con le due precedenti encicliche Deus caritas est e Spe salvi - la riflessione di Benedetto XVI propone una rilettura della Populorum progressio di Paolo VI, il cui messaggio è ancora attuale a distanza di oltre quarant'anni dalla pubblicazione. Tanto da spingere il Papa a definirla "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea, che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione". Ma in realtà è l'intero insegnamento sociale dei Pontefici - innestato nella "tradizione sempre vitale della Chiesa" e illuminato soprattutto dal Concilio Vaticano II - a fare da sfondo alla Caritas in veritate. Che dunque, al pari del testo montiniano, non può essere letta al di fuori di questo corpus di riferimento senza ridursi a un documento privo di radici o a un semplice elenco di "dati sociologici".
In questa prospettiva le intuizioni della Populorum progressio - che ignorava i recenti sviluppi della globalizzazione ma ne ha anticipato profeticamente avvento e dinamiche - rivelano una sorprendente modernità. Anche perché mostrano quanto poco si è fatto in questi quarant'anni e quanto resta da fare per dar voce ai "popoli della fame" che ancora oggi "interpellano in maniera drammatica i popoli dell'opulenza", come scriveva nel 1967 Papa Montini. Il quale avvertiva, in particolare, che l'autentico sviluppo riguarda la persona nella sua integralità - "se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo" - e dipende dalla realizzazione di una reale fraternità tra i popoli.
Alla verifica dei fatti le preoccupazioni di Paolo VI si sono rivelate fondate. "Il progresso - riconosce Benedetto XVI - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere per molte popolazioni del mondo "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi". La denuncia del Pontefice è netta e circostanziata: nel mondo aumentano le disuguaglianze, nascono nuove povertà, permangono illegalità e corruzione, sono disattesi i diritti dei lavoratori, vengono sfruttate indiscriminatamente le risorse della terra. Per questo continua a essere "un dovere" per la comunità internazionale la "riprogettazione globale dello sviluppo" a partire da "una nuova sintesi umanistica". Occorrono realismo, fiducia e speranza - suggerisce il Papa - per affrontare soprattutto le inedite responsabilità derivanti dalla crisi economica, che può trasformarsi così in "occasione di discernimento e di nuova progettualità".
L'enciclica evita le secche ideologiche e le disquisizioni accademiche - nel testo non compaiono mai termini come capitalismo, socialismo, comunismo, proprietà privata - ma non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro, con la conseguente creazione di "situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale". O quando sperequazioni agrarie, speculazioni e irresponsabilità internazionali sottraggono a intere popolazioni il diritto all'alimentazione e l'accesso all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico - basate sull'erronea convinzione che l'aumento della popolazione sia la causa del sottosviluppo - giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche in nome di un malinteso "progresso culturale". Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, la sua integrità". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici".
Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi: non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - il "principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto entro la normale attività economica". Senza forme di solidarietà e fiducia reciproca - afferma - "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico". Si tratta, in definitiva, di realizzare "una forma concreta e profonda di democrazia economica" attraverso l'apertura dei rapporti mercantili ad attività produttive che - superando la tradizionale distinzione tra imprese profit e non profit - perseguano fini solidaristici con "quote di gratuità e comunione": un'opera di "civilizzazione dell'economia" - la definisce il Pontefice - che risponde a "un'esigenza della stessa ragione economica" oltre che della verità e della carità.
Per governare la globalizzazione Benedetto XVI invoca anche una rivalutazione del ruolo dei poteri pubblici nazionali. E chiede per le imprese "una più ampia responsabilità sociale" che tenga conto del "significato morale, oltre che economico" delle scelte di gestione e di investimento. Riproponendo il legame tra "ecologia ambientale" ed "ecologia umana", richiama a "un governo responsabile della natura" soprattutto attraverso oculate politiche energetiche e nuovi stili di vita più sobri. In ogni caso - avverte - il progresso tecnico deve sempre trovare un orizzonte di senso, evitando quella "mentalità tecnicistica" in base alla quale il vero coincide con il fattibile. Anche qui la strada indicata è quella di una riconciliazione tra fede e ragione sul terreno della difesa della vita - manipolazioni genetiche ed eutanasia preoccupano in particolare il Papa - e del futuro dell'uomo.
L'enciclica riafferma poi lo stretto rapporto tra sviluppo dei popoli e tutela dei diritti. Per la religione, in particolare, il Pontefice reclama libertà e "statuto di cittadinanza" nella sfera pubblica, invitando alla collaborazione credenti e non credenti. In questo contesto rilancia il principio di sussidiarietà come l'"antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista", ma al tempo stesso rinnova agli Stati più avanzati la richiesta di destinare maggiori aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri.
Quanto al sistema finanziario globale - messo sul banco degli imputati per l'attuale crisi economica - Benedetto XVI auspica che esso recuperi i suoi fondamenti etici e torni a essere "uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo". Nell'immediato chiede soprattutto una regolamentazione del settore in grado di "garantire i soggetti più deboli e impedire scandalose speculazioni". Ma l'orizzonte dell'enciclica va oltre le visioni di corto respiro, per invocare una riforma complessiva dell'architettura economica e finanziaria internazionale che proceda di pari passo con quella dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con la creazione di un'"Autorità politica mondiale" - sulla scia dell'analoga richiesta fatta a suo tempo da Giovanni XXIII - ordinata alla realizzazione del bene comune e di "un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".

(©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)

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