giovedì 9 luglio 2009

Motu proprio "Ecclesiae unitatem": il commento di Giacomo Galeazzi


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Ultimatum del Papa ai lefebvriani

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

Se gli ultratradizionalisti non diranno sì al Concilio Vaticano II resteranno fuori dalla Chiesa.
Per scongiurare errori di percorso come quelli dell’ex mediatore Darío Castrillón Hoyos (inclusa l’inadeguata istruttoria che ha portato alla revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson) Benedetto XVI affida le trattative con i lefebvriani all’ex Sant’Uffizio, ma si riserva l’ultima parola sulle decisioni.
«Le questioni dottrinali che li separano dalla Chiesa sono irrisolte. Finché non verranno chiarite, non possono esercitare in modo legittimo e la Fraternità San Pio X non avrà uno statuto canonico», stabilisce il Pontefice.
Nessun commento «per ora» dai lefebvriani al motu proprio «Ecclesiae unitatem», il provvedimento normativo pubblicato ieri da Benedetto XVI per aprire una nuova fase dei rapporti e favorire il loro rientro.
«Prima attendiamo i documenti per studiarli», ribattono ufficialmente i seguaci dell’arcivescovo ribelle Marcel Lefebvre. Con un documento non proposto da un organismo di Curia, bensì di sua esclusiva iniziativa, il Papa fissa le linee-guida degli imminenti colloqui dottrinali tra Santa Sede e lefebvriani. Benedetto XVI riafferma il primato di Pietro, le modalità dell’istituzione della commissione pontificia sui lefebvriani «Ecclesia Dei» ora affidata al cardinale Joseph William Levada, la liberalizzazione della messa in latino e la remissione della scomunica per graziare «persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave».
In Segreteria di Stato presentano la lettera papale come una «scelta di chiarezza e coerenza».
In pratica, Ratzinger ha riorganizzato la struttura incaricata del negoziato con i lefebvriani, i quali potranno aspirare a uno status nella Chiesa solo quando saranno chiarite tutte le «questioni dottrinali».
Fino ad allora il Vaticano considera illegittime le loro azioni e decisioni prese nel ruolo di vescovi mentre l’ultima parola su una loro futura «piena comunione» spetterà al Papa stesso.
«Ecclesia Dei», la commissione che fino al gennaio scorso aveva guidato con una propria autonomia le trattative con la Fraternità San Pio X, viene collegata «in modo stretto» con l’ex Sant’Uffizio. Di fatto è stata inglobata, al punto che il cardinale Levada ne diviene il responsabile.
Anche il nuovo segretario, Guido Pozzo, uomo di assoluta fiducia di Ratzinger, viene dall’ex Sant’Uffizio.
Va in pensione, invece, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, il porporato che ha favorito la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani (firmata lo scorso 21 gennaio dal Pontefice). Proprio su Castrillón Hoyos si sono riversate le maggiori critiche fuori e dentro la Chiesa per quella mossa giudicata foriera di polemiche sia interne sia con il mondo ebraico.
A Castrillón viene in particolare rimproverato di non aver avvertito il Papa per le frasi negazioniste di uno dei quattro vescovi «perdonati», il vescovo britannico Richard Williamson.
Il «motu proprio» non cita in maniera esplicita il Concilio, ma di questo si tratta quando vengono evocate le «questioni dottrinali». I lefebvriani, infatti, hanno sempre rifiutato di accettare i più importanti documenti conciliari, soprattutto quelli che riguardano il dialogo con gli ebrei e con le altre religioni. Inoltre, quando il Papa ricorda ai vescovi della Fraternità di San Pio X che tuttora «non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero», si riferisce alle recenti ordinazioni sacerdotali fatte da Fellay e confratelli ad Econe in Svizzera, in Germania, e negli Stati Uniti. Cerimonie per nulla gradite a Roma, anzi subite come una nuova offesa.
Il provvedimento normativo di ieri aggiunge un tassello a un mosaico che deve prendere ancora forma. Levada e Pozzo hanno ricevuto il mandato di «riferire i principali casi e le questioni di carattere dottrinale» all’esame dell’ex Sant’Uffizio e di «sottometterne il giudizio alle supreme disposizioni del Pontefice». Ed è proprio per favorire l’unità fra le varie componenti della Chiesa che il Papa ha deciso di permettere la celebrazione della messa in latino con il messale romano del 1962, secondo quanto richiesto dai tradizionalisti.

© Copyright La Stampa, 9 luglio 2009 consultabile online anche qui.

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