venerdì 3 luglio 2009

Vaticano: Carbonio 14 sui resti di San Paolo con la tecnica del doppio cieco (Izzo)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

VATICANO: C14 SU RESTI S.PAOLO CON TECNICA DOPPIO CIECO

(di Salvatore Izzo)

(AGI) - CdV, 3 lug.

Le analisi con il "C 14" sui frammenti prelevati dal sarcofago sottostante l'altare della Basilica di San Paolo "sono state eseguite con la tecnica del doppio cieco".
Lo ha rivelato oggi il prof. Ulderico Santamaria, direttore del laboratorio di diagnostica per la conservazione e restauro dei Musei Vaticani e docente di Scienza e Tecnologia dei Materiali all'Universita' della Tuscia.
Il prof. Santamaria ha affermato che le analisi sono state compiute nel laboratorio dei Musei e in altri che con esso collaborano come "service".
"La tecnica del doppio cieco - ha spiegato il prof. Santamaria - e' la stessa comunemente utilizzata per testare i farmaci, e si basa sull'uso di campioni non identificabili da chi materialmente svolge l'analisi".
Ovviamente, ha aggiunto da parte sua il card. Andrea Lanza di Montezemolo, fino a oggi arciprete della Basilica di San Paolo, la datazione tra il primo e il secondo secolo non da' la certezza che le ossa siano di San Paolo, anche se essendo la sua tomba questo e' altamente probabile.
"Nulla e' contrario e tutto tende a confermare che si tratta della tomba di Paolo", ha detto testualmente l'anziano cardinale ricordando che la datazione con il C14 e il ruitrovamento di particelle di tessuto porpora e incenso "confermano la tradizione inalterata e incontrastata da 20 secoli". Il card. Cordero Lanza di Montezemolo ha annunciato che i particolari sulla indagine saranno pubblicati su riviste scientifiche: "la pubblicazione - ha spiegato - avverra' raccogliendo gli elementi dei quali siamo in possesso: dati certi assoluti e sicuri". Non e' escluso, ha aggiunto, "che si fara' piu' avanti un'analisi piu' accurata, forse con il Dna e con l'apertura del sarcofago che in duemila anni non e' mai stato aperto".
Almeno "secondo il concetto di apertura - ha precisato in risposta ai giornalisti che ricordavano le sue precedenti smentite in merito all'analisi del sarcofago - che nella lingua italiana si usa. E' stato praticato un piccolo foro e si e' penetrati con una piccola sonda". A praticare il foro e a dirigere la sonda e' stato proprio il prof. Santamaria, il quale oggi ha spiegato di aver cercato di ridurre al minimo i rischi di contaminazione del contenuto del sarcofago provvedendo a "isolare la zona operatoria evitando anche la cosidetta microdistruttivita', e - ha scandito - se non possiamo dire che qualche molecola ossigeno non sia entrata abbiamo di certo potuto ridurre al minimo questo cambiamento situazione".
Richiesto di esprimere un parere sulle possibili future analisi anche del Dna dei resti umani trovati dalla sonda nel sarcofago, il prof. Santamaria ha risposto: "ad altre indagini non sono contrario, ma come persona scienza mi fermo ai dati oggettivi che danno le indicazioni che abbiamo".
Quanto ad ulteriori notizie, secondo lo scienziato i risultati sono stati ben comunicati da Benedetto XVI che ha parlato di resti umani di epoca coeva a San Paolo e ha detto che nel sarcofago c'erano particelle di tessuto color porpora e di incenso, cioe' gli stessi elementi che furono trovati nelel Grotte Vaticane con le ossa che si sono attribuite a San Pietro.
"Confermo - ha affermato - cio' che ha detto il Papa. Non possiamo dire niente altro ad esempio sul numero dei resti che ci sono in quanto il sarcofago e' molto grande e ispezionarlo tutto con una sonda la cui articolazione si acompatibile con foro del diametro di 10 mm e' difficilissimo". In sostanza, quindi, "non si e' potuto ispezionare tutto ma solo le zone agevoli".
Le indagini, ha precisato ancora Santamaria, "sono state curate dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani, anche con strumenti di altri laboratori con i quali collaboriamo, in 'service', ma sempre sotto il controllo dei Musei Vaticani", ad escludere cioe' che potesse capitare di nuovo quanto accadde venti anni fa con la datazione della Sindone che fu ritenuta piu' recente del I secolo da laboratori di prestigiose universita' inglesi e americane, ma con risultati la cui distanza tra loro era maggiore di quella fissata nel protocollo comune, quindi ritenuti complessivamente inattendibili e validati invece con un errore di calcolo. Cio' fu causato forse dalla pressione mediatica sulla ricerca. Questa volta invece, ha confermato Santamaria, "gli operatori erano ignari della provenienza del campione", cosi' come si usa nella tecnica del doppio cieco: "nella medicina si fa spesso, nel campionamento dei farmaci non si dice a chi cosa ha preso, ovviamente sotto controllo medico".
In proposito il prof. Santamaria ha anche descritto il modo con il quale tale tecnica "si utilizza anche con il C 14: io - ha spiegato - mi siedo con il tecnico, il tecnico non sa su cosa operiamo, cosi' io non sto facendo nessuna pressione per avere un risultato ne' in senso ne' nell'altro". E' una modalita' questa "comunemente usata e fa parte di quelle previste per la validazione dei risultati.
Da questo punto di vista - ha ribadito - non c'e stata nessuna forzatura: il risultato e' quello. Ovviamente consideriamo il limite di errore proprio di ogni analisi scientifica: le quantita' microscopiche, il passaggio del tempo in ambiente chiuso ma non isolato dal mondo. Dunque - ha concluso lo scienziato - le indicazioni che abbiamo avuto non escludono quelle che sono state le ipotesi di partenza e cioe' che fossero le ossa di San Paolo, una attribuzione che ovviamente le indagini scientifiche non certificano ma non escludono, in quanto e' stato accertata la datazione tra il I e il II secolo".

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